lunedì 18 febbraio 2013

Post it - promemoria

18 febbraio 2013


E' una data da ricordare. 

Mio figlio ha detto per ben due volte - Mamma ho fame -

Due volte in un giorno. Non sentire queste parole per anni e poi due volte in un giorno!

Vabbè che esce da quattro giorni di influenza (o meglio un giorno e tre di convalescenza). E vabbè che stamattina eravamo pronti per andare a scuola e poi dopo il latte...patatrac... è successo di nuovo. E vabbè che sono rimasta a casa con lui (che a dire il vero sono stata male anch'io, ma solo con un raffreddore potente) e dopo un'ora saltava sul divano e diceva - mamma ho fame - e non sapevo più cosa fare....

E' stato forte quando, a metà mattina, si è ricordato del suo compagno che ha tanta fame e che ogni giorno approfitta della sua merenda, perché tanto a lui "bastano tre biscotti". Oddio, generoso è generoso...domani mi toccherà dargli due pacchetti!




sabato 16 febbraio 2013

Perché San Remo è San Remo

Ok, qualcuno deve fare il lavoro sporco. Vabbè dai, mi offro volontaria.
Come in Italia nessuno vota per Berlusconi (eppure ce l'abbiamo sui cosiddetti da vent'anni), così, nello stesso modo, nessuno guarda San Remo.

Io un'occhiatina alla manifestazione l'ho sempre data, magari non tutte le sere (cinque serate sono veramente troppe) e magari navigando contemporaneamente.
Perché fa parte della nostra tradizione, perché.... San Remo è San Remo.

Per tanti, però, è troppo popolare. Anzi nazional-popolare. Alcune persone non guardano trasmissioni che non siano di nicchia. Sopra un certo numero di spettatori, il programma diventa tremendamente trash. Così per principio.

Ed alcune edizioni hanno veramente dato il peggio di sè, ma quest'anno ho guardato San Remo molto più del solito, perché la coppia Fazio-Littizzetto è di per sè una garanzia. E al di là della fiducia preventiva, lo spettacolo lo hanno assicurato, con una buona dose di coraggio, sia nella scelta delle canzoni, sia nella scelta degli ospiti.

E gli ascolti, una volta tanto, hanno dato loro ragione. Ascolti molto alti, con un aumento delle persone con un livello di istruzione medio alto. Ma non trovi nessuno che ammetta di averlo guardato.

Perché non è la qualità della trasmissione che conta, non è l'occasione per parlare di diritti fondamentali che  conta, dipende da chi e dove si dicono certe cose, le stesse cose non hanno un loro valore oggettivo. C'è un po' di ipocrisia in questa pratica diffusa, no?

Valeva la pena guardarlo solo per questo 



e per questo



Stasera mi è preso così. Certo, ognuno fa e guarda quello che vuole.

Io per prima non guardo più di tanto la televisione. Però, bisogna distinguere e dare fiducia tutte le volte che si cerca di fare un passo avanti nella qualità.

A meno che non si voglia che la qualità sia cosa per pochi. Io non ci sto.








sabato 9 febbraio 2013

Come hai scelto i nomi dei tuoi figli?

Ma sì, proprio durante il Carnevale mi sono decisa a togliermi (parzialmente) la maschera: vi rivelerò il nome dei miei figli (capirai come sarà facile individuarmi adesso!)

In rete quasi tutte le mamme si sono inventate un nickname per i propri figli, io non l'ho fatto e sinceramente continuare a chiamarli "la grande" e "il piccolo" o "il dodicenne" e "la quindicenne" cominciava a starmi un po' stretto e, perciò, ho preso coraggio da Smemomamma e ho deciso di scrivere questo post "liberatorio", partecipando anch'io al Blog Tank di Donna Moderna.com: il primo dono che fai a tuo figlio è il nome.
Un'esigenza impellente è stata scegliere per entrambi un nome corto, per due motivi:
- il cognome è abbastanza lungo e già ce li immaginavamo brontolare in prima elementare: con tutto il tempo che ci voleva a scrivere nome e cognome, era già bella e finita la lezione!
- è sempre meglio dare un nome corto ai propri figli e non te ne rendi conto subito, ma ben quando cominciano a correre. Lo sketch di Troisi insegna: se chiami tuo figlio Sebastiano, quando "combina" qualcosa e lo devi sgridare - Se-ba-stiaaaa-noooo - quando avrai finito di dire tutto il nome sarà già scappato e a cento metri di distanza. Se invece lo chiami Ciro, - Ciro! - non fa in tempo neanche ad allontanarsi di due passi!

Fatta questa doverosa premessa, il nome dell'attuale quindicenne ha visto me e mio marito concordi, dopo aver letto per benino la lista infinita nei libri sui nomi. L'abbiamo chiamata Laura. E' un nome dolce che rispecchia la sua natura mite (anche se l'età, non proprio facile, sta rivelando una grinta che a volte esplode in maniera esagerata, ma questa è un'altra storia).

Ben diverso è stato scegliere il nome del dodicenne. Non eravamo d'accordo. Ho cercato per lungo tempo di convincerlo che Nicola era un nome bellissimo. A lui ne piaceva un altro, che ora a dire la verità non ricordo. Alla fine abbiamo scelto un nome che piaceva a tutti e due: Luca. Corto, semplice, senza tanti fronzoli....ma, non sapevamo quello che facevamo!

Quasi tutti i bambini di nome Luca che conosco sono tremendi e l'eccezione conferma soltanto la regola. Ve lo assicuro: un nome, una garanzia. Da bambino era una piccola peste (chiedete a sua sorella!) e anche adesso che è un ragazzino, bisogna dire che non scherza.

Però, nomi a parte, sono entrambi simpatici (quando non me li vorrei mangiare, s'intende) e questo non guasta.


venerdì 8 febbraio 2013

Qualcosa di nuovo

In rete circola come un mantra il "cosa volete che il nuovo governo vi restituisca" (io sono convinta che sia partito tutto dall'irriverente Luca Bottura di Lateral (programma mattutino di Radio Capital, grazie al quale vado a lavorare ridendo come una scema) e in tanti si sono scatenati. Le richieste sono le più disparate e a volte poetiche. Insomma a due-trecento euro preferiamo la speranza, c'è poco da fare.

domenica 3 febbraio 2013

Attese che finiscono e altre no

A metà dicembre ho scritto un post (qui) dove parlavo di attesa (tanto che a qualcuno è preso un colpo!).

In realtà stavo fremendo per due cose molto diverse fra loro e certamente non sullo stesso piano di importanza.

Beh, che dire. Un' attesa è finita. Quella più importante? No, ovviamente.

La non offerta di lavoro non ha tolto quella negazione lì davanti ed è rimasta nel limbo. Sì, perché finché non mi diranno la tipica frase: "ci dispiace, ma per il momento non è possibile una nuova assunzione" nella mia testa continuerà a girare una rotella e resterà un piccolissimo spiraglio aperto. Sarà perché Alice aveva una grande stima per la persona in questione e lei quando ci rimane male, quando le persone la deludono (solo per non aver più richiamato, eh) ci mette un po' a riprendersi e a farsene una ragione.

Perciò mi consolo con l'attesa finita. E' partito il programma di affiliazione ad Amazon.
Tramite il link che metterò in alcuni post, senza spendere un euro in più, darete la possibilità a me di ricevere una piccola percentuale. Ho aggiornato i post dove ho parlato di film o di libri.

Le due cose non sono legate, ma muovermi, fare qualcosa di nuovo, in qualche modo mi dà l'impressione di dare una direzione diversa alla mia vita.

Ah, per maggior praticità, ho creato una pagina con tutte le locandine.

Aggiornamento: affiliazione conclusa

mercoledì 30 gennaio 2013

lunedì 28 gennaio 2013

Happi ideas

Ho ricevuto una mail da Anna Pisapia di Happi ideas nei giorni scorsi.

Mi chiedeva di rispondere ad un sondaggio on line sui libri digitali per bambini e, se possibile, di aiutarla a diffonderlo in rete: "Infatti, per raccogliere dati significativi e capire qualcosa sui libri digitali per bambini abbiamo bisogno che tanta gente compili il questionario." E siccome io, Alice, sono convinta del "potere del tam tam della rete e del passaparola", ecco qui il questionario: http://www.surveymonkey.com/s/ricerca-libri-digitali .

martedì 22 gennaio 2013

Il signor G

E' tardissimo, ma devo scrivere di getto un post su "G di Gaber - speciale Che tempo che fa", la trasmissione di Fabio Fazio per ricordare Giorgio Gaber a dieci anni dalla sua scomparsa.

E' stata una trasmissione emozionante. Si sono alternati artisti notevoli sul palco, ricordando Gaber attraverso le sue canzoni e i suoi monologhi.

lunedì 14 gennaio 2013

Quando leggere diventa un gioco

Sabato pomeriggio ho visto una trasmissione che non avevo mai visto (credo fosse la replica): "I ragazzi del coro" su RAI 5.

Gareth Malone è un giovane maestro di coro e, da quello che ho scoperto pochi minuti fa, curiosando in Internet, sono già stati girati diversi episodi di questa serie inglese. Serie che non si può definire fiction, perché i protagonisti non sono attori, ma definirla reality, però, sarebbe riduttivo. Lo scopo di questo insegnante è di diffondere il canto soprattutto in zone dove la cultura è guardata un po' con sospetto.

sabato 5 gennaio 2013

Harold Fry: credere di poter fare la differenza

E' stato un Natale un po' strano. Sarà stata la stanchezza psicologica, ma sono arrivata alle feste un po' depressa e non avevo tanta voglia di parlare con nessuno.
Poi sono stata in montagna. Sono partita controvoglia perché, attorno a me, sono riusciti in tutti i modi a farmi capire che "loro" di voglia di andare via non ne avevano mezza. Siamo partiti lo stesso, cavolo!

E lì, senza fare grandi cose, mi sono un po' alla volta ricaricata. E negli ultimi giorni ho cominciato a leggere un libro che avevo comprato tempo fa ma che non avevo ancora iniziato: L 'imprevedibile viaggio di Harold Fry di Rachel Joyce.

Harold è un signore di una certa età che, per qualche ragione sconosciuta, pur avendo alle spalle una famiglia terribile (una madre che lo ha abbandonato e un padre alcolizzato), è la persona più mite che si possa immaginare. Te lo immagineresti violento, per reazione a tutte le cattiverie che ha subito e invece no, lui è fin troppo mite, è timido e cerca sempre di non attirare l'attenzione, di rimanere ai margini, di non dare nell'occhio. 

E' sposato con Maureen, ha un figlio laureato di nome David. Ma le cose non vanno bene. Il figlio, in qualche modo, si è messo tra loro e negli ultimi vent'anni Harold si è trovato sempre più distante dalla moglie fino a un punto di non ritorno, il peggio del peggio, la distanza del silenzio fra loro. La distanza dolorosa dell'essere vicini ma di non vedersi neanche più.

Un giorno accade qualcosa: riceve una lettera da una ex collega che non vede da vent'anni. Una persona mite come lui che aveva imparato ad apprezzare e con la quale aveva instaurato una tenera amicizia. Fino a quando lei era partita improvvisamente, addossandosi una colpa non sua. La lettera è un addio. Queenie è ammalata di cancro, non le resta molto da vivere e vuole salutare Harold per l'ultima volta.

Questo fatto scatena qualcosa nella sua vuota e ripetitiva vita. Decide di scriverle una lettera ed esce ad imbucarla. Ma di fronte alla buca per le lettere, quel gesto gli sembra troppo poco, Queenie merita di più. E così, vestito con le scarpe "da barca", decide di andare alla cassetta successiva, e poi all'ufficio postale e poi... decide di andare a consegnargliela personalmente, percorrendo a piedi gli ottocento chilometri che li separano.
Un incontro decisivo è quello con la ragazza della stazione di servizio che lo esorta a continuare in quell'impresa, raccontandogli che anche sua zia aveva il cancro, ma che bisognava aver fede, non necessariamente in senso religioso, e continuare a lottare perché "bisogna credere di poter fare la differenza". Harold deve avere "fede" per la sua amica, per poterla in qualche modo "salvare".

E così comincia il suo lungo pellegrinaggio, fatto di dolore fisico, di vesciche ai piedi sanguinanti, di stanchezza e di momenti alternanti di sconforto e convinzione che tutto questo possa salvare la sua amica che, a detta della suora della casa di cura dove si trova, inspiegabilmente ricomincia a dare piccoli segnali di ripresa e lo sta aspettando.

Durante il viaggio incontra molte persone, alcune delle quali si rivelano molto importanti per lui. Lo ascoltano con attenzione e condividono la stessa speranza. E si aprono, come poche volte ci si apre a qualcun altro e soprattutto lo aiutano, con una generosità disinteressata. 

Apro una breve parentesi. A questo punto del libro, ho pensato alle affinità che nascono in rete, a quanto calore si può trovare dove minimamente non ci si aspettava all'inizio della navigazione. Agli incontri favolosi e alla ricchezza che portano alle tue giornate, fino a farti pensare che anche questo "viaggio" ti lascerà qualcosa in più e ti vedrà diversa rispetto a quando hai cominciato. Nel bene e nel male, perché poi, come nella vita, gli incontri non sono sempre favolosi e a volte lasciano un po' di amaro in bocca, ma basta concentrarsi sulle cose positive per sentirsi meglio.

Ma torniamo a Harold. Il suo viaggio lunghissimo si rivela un viaggio in sè stesso e nei suoi ricordi. Immergendosi nella bellezza della natura, che a  volte non vediamo neppure a causa della velocità che sfoca i contorni, Harold rivive i momenti clou della sua infanzia e della giovinezza, il bellissimo rapporto esclusivo con la moglie e il rapporto conflittuale col figlio, dovuto probabilmente anche alla sua incapacità di esprimere le emozioni, rimaste forse intrappolate nella casa paterna, quando era bambino.

Giorno dopo giorno, insieme al dolore fisico si lascia coinvolgere dal dolore della sua anima e sente sciogliere un po' alla volta tutta la sfiducia che ha sempre avuto in sè stesso e impara a capire e perdonare la moglie, il figlio, ma soprattutto sè stesso che ha sempre ritenuto responsabile di tutto ciò che gli è capitato.

E contemporaneamente, anche la moglie intraprende lo stesso viaggio, seduta nella poltrona di casa, ma attraversando la stessa palude, lo stesso dolore e gli stessi dubbi.

Mi fermo qui. E' un libro introspettivo e commovente. E' un viaggio di rinascita. E' un libro da leggere.

Credere di poter fare la differenza diventa il mio proposito per quest'anno. Detto così può sembrare presuntuoso e invece è proprio un inno al prendere in mano la nostra vita e fare di tutto per ottenere qualcosa di buono. Buon anno a tutti.